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Il nuovo parere di congruità dei compensi professionali, nonostante la petizione di principio contenuta nell’art. 7 della legge 21/04/2023, n. 49, non è in grado di acquisire efficacia di titolo esecutivo

Dicembre 9th, 2023 by admin_costa

La legge n. 49 del 2023, fortemente voluta dall’Avvocatura, è stata accolta dalla categoria come una svolta (forse sarebbe meglio dire un segnale forte) per ridare dignità ai professionisti.

L’art. 7, sul parere di congruità come titolo esecutivo (…), al pari dell’art. 12 [abrogante l’art. 2, comma 1, lett. a), del decreto Bersani], dell’art. 5, comma 2 (sulla prescrizione del diritto al compenso), dell’art. 5, comma 3 (sull’aggiornamento biennale dei parametri ministeriali, dell’art. 8 (sulla prescrizione dell’azione di responsabilità) e dell’art. 9 (sull’azione di classe dei Consigli nazionali degli ordini), è stato ritenuto da autorevoli interpreti come una norma di carattere generale, non limitata al circoscritto ambito dell’art. 2 (rapporti professionali con imprese bancarie e assicurative, grandi imprese e Pubblica amministrazione).

Il procedimento amministrativo ex legge 07/08/1990, n. 241, propedeutico per l’emanazione del parere di congruità, è sicuramente da accogliere con favore, anche se, per la dilatazione temporale che lo contraddistingue, meglio si attaglia al pre-contenzioso con i clienti forti.

Il parere di congruità, del resto, non costituisce titolo esecutivo nell’attuale previsione normativa, se non dopo il decorso di 40 giorni dalla relativa notifica, in mancanza di opposizione.

Con i clienti normali, quindi, ed ancora di più con quelli deboli, ci sarebbe da considerare il rischio di dispersione delle garanzie patrimoniali nel lungo tempo attualmente necessario per la formazione del titolo esecutivo.

Sulla basi di tali premesse, il presente intervento mira a segnalare che il parere di congruità, nella normativa attualmente vigente, non è proprio in grado di acquisire efficacia di titolo esecutivo.

Sussiste, innanzi tutto, un problema di notifica, perchè il Consiglio dell’Ordine in concreto richiesto ci ha risposto che non è legittimato a rilasciare copie autentiche.

In secondo luogo, l’indisponibilità delle copie autentiche si ripercuote sulla formazione del titolo esecutivo a cui mira la nuova norma che, però, non può prescindere da quando disposto dagli artt. 474 e 475 c.p.c..

In terzo luogo, l’esecutorietà del parere di congruità, prevista dalla nuova norma in mancanza di opposizione entro 40 giorni dalla notifica, è attualmente impossibile, perchè difetta l’individuazione dell’Autorità deputata alla relativa declaratoria, previa verifica della sussistenza dei necessari presupposti.

Allo stato, quindi, una volta emanato il parere di congruità. non rimane altro da fare che procedere in sede monitoria ex artt. 633 n. 2 e 636 c.p.c., esattamente come accadeva prima della nuova legge, in aperto contrasto con l’intento (probabilmente principale) del Legislatore, che era quello di decongestionare il carico dei Tribunali (e dei Giudici di Pace).

De iure condendo, tanti problemi potrebbero essere risolti dalla previsione della provvisoria esecutività del parere di congruità, all’esito del contraddittorio amministrativo, con salvezza di opposizione giudiziaria.

Non sarebbe male, in ultima analisi, prevedere anche la possibilità di iscrizione di ipoteca in forza del titolo esecutivo come sopra ex novo concepito.

Avv. Michele Costa

Esclusione del vincolo di solidarietà della condanna alle spese del procedimento penale in sede esecutiva

Febbraio 20th, 2023 by admin_costa

La solidarietà nella condanna al pagamento delle spese processuali è stata abolita dagli artt. 67 e 68 della L. 18 giugno 2009, n. 69, che hanno modificato l’art. 535 c.p.p., abrogando il comma 2, modificato l’art. 205 del D.P.R. 30/05/2002, n. 115 e modificato gli articoli 211 e 212 di tale Testo Unico, al quale sono stati aggiunti gli artt. 227-bis, 227-ter e 227-quater.

La legge detta è entrata in vigore il 4 luglio 2009.

La Corte di Appello di Firenze, adita in sede esecutiva, siccome la sentenza di condanna risultava essere passata in giudicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge detta, ha modificato il dispositivo della sentenza del Tribunale di Grosseto del 2009, sul punto confermata dalla stessa Corte di Appello nel 2012, escludendo la natura solidale, con gli altri coimputati, della condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

La competenza del Giudice penale, in ossequio all’insegnamento della Corte di Cassazione, è limitata a tale statuizione.

La concreta quantificazione delle spese gravanti su ciascun coimputato, infatti, dovrà essere sottoposta al Giudice civile in sede di opposizione all’eventuale esecuzione intrapresa dall’Agente della riscossione.

Avv. Michele Costa

Insufficienza della detenzione di una non trascurabile quantità di sostanza stupefacente, valutata in rapporto agli altri indizi acquisiti, per provare la destinazione allo spaccio

Gennaio 13th, 2020 by admin_costa

Gli indizi per la colpevolezza dell’imputato erano rappresentati dalla non trascurabile quantità della droga sequestrata, dalle modalità di confezionamento e dalle modalità di occultamento del denaro parimenti sequestrato, ma nelle more restituito.

Il GUP del Tribunale di Grosseto ha rapportato tali indizi con le giustificazioni fornite dalla difesa e, all’esito della discussione nel giudizio abbreviato, ha mandato assolto l’imputato.

Nella motivazione della sentenza si rammenta che la rilevanza della prova indiziaria è rappresentata dalla necessaria presenza di una pluralità di indizi che, come è noto, devono essere gravi, precisi e concordanti.

Su un piano di ordine generale si rileva, che la gravità attiene al grado di convincimento: è grave l’indizio che ha un elevato grado di persuasività, l’indizio consistente, resistente alle obiezioni e, quindi, attendibile e convincente.

Quanto alla precisione, l’indizio preciso è quello non suscettibile di altre e diverse interpretazioni, mentre la concordanza implica che tutti gli indizi in possesso del Giudice convergano verso la medesima conclusione e non si prestino, pertanto, ad interpretazioni tra loro difformi.

Nel caso concreto sussisteva la pluralità degli indizi e la loro gravità, ma difettava la precisione e la concordanza.

Avv. Michele Costa

Auspicabile modifica – in sede di conversione – dell’art. 1 del D.L. 12-9-2014 n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), in vigore dal 13 settembre 2014

Settembre 24th, 2014 by

Riportiamo la norma, già in vigore:

Capo I

Eliminazione dell’arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti

Art. 1. Trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria

1. Nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d’appello pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, nelle quali la causa non è stata assunta in decisione, le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile.

2. Il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale ovvero la corte di appello per la nomina del collegio arbitrale. Gli arbitri sono individuati, concordemente dalle parti o dal presidente del Consiglio dell’ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno tre anni all’albo dell’ordine circondariale che non hanno avuto condanne disciplinari definitive e che, prima della trasmissione del fascicolo, hanno reso una dichiarazione di disponibilità al Consiglio stesso.

3. Il procedimento prosegue davanti agli arbitri. Restano fermi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale e il lodo ha gli stessi effetti della sentenza.

4. Quando la trasmissione a norma del comma 2 è disposta in grado d’appello e il procedimento arbitrale non si conclude con la pronuncia del lodo entro centoventi giorni dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio dei successivi sessanta giorni. Quando il processo è riassunto il lodo non può essere più pronunciato. Se nessuna delle parti procede alla riassunzione nel termine, il procedimento si estingue e si applica l’articolo 338 del codice di procedura civile. Quando, a norma dell’articolo 830 del codice di procedura civile, è stata dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro il termine di centoventi giorni di cui al primo periodo o, in ogni caso, entro la scadenza di quello per la riassunzione, il processo deve essere riassunto entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità.

5. Nei casi di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, con decreto regolamentare del Ministro della giustizia possono essere stabilite riduzioni dei parametri relativi ai compensi degli arbitri. Nei medesimi casi non si applica l’articolo 814, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile.

L’opportunità delle modifiche che emergono in prima lettura riguarda:

  1. la previsione di un collegio arbitrale, anziché di un arbitro unico;

  • tale previsione, in considerazione dell’aumento dei costi del procedimento arbitrale (collegiale) e dell’aumento dei tempi medi per addivenire all’emanazione del lodo (collegiale), rischia di privare di concreti effetti le stesse finalità della nuova legge;

  • non è facilmente individuabile, del resto, il motivo per cui le materie di competenza del Tribunale in composizione monocratica (anche Giudici Onorari) debbano essere affidate ad un collegio arbitrale, anziché ad un arbitro unico.

  1. L’impossibilità per gli avvocati che hanno precedenti disciplinari limitati all’avvertimento di essere nominati come arbitri;

  • tale effetto limitativo della sanzione dell’avvertimento per l’inserimento di un avvocato in un elenco speciale gestito dal Consiglio dell’Ordine è completamente isolato (vedi normativa primaria e regolamentare in materia di Patrocinio a spese dello Stato, Difesa d’Ufficio e Consiglio di Disciplina);

  • con tale limitazione, oltre a vanificare la stessa funzione dell’avvertimento, specie nei casi in cui è molto risalente nel tempo, si sottraggono esperienze e conoscenze, anche specialistiche in materia di arbitrato, per il raggiungimento delle stesse finalità della nuova legge.

  1. La previsione del termine di 120 giorni per il deposito del lodo, che sembrerebbe riservato alle cause di appello;

  • tale termine, come ben sanno i colleghi che hanno esperienze in materia di arbitrato, è particolarmente breve, specie per un organo collegiale, e non è niente in rapporto ai tempi della giustizia civile in grado di appello;

  • è opportuno prevedere espressamente un termine per l’emanazione del lodo anche per le cause di primo grado.

  1. L’esclusione della solidarietà delle parti per il pagamento del compenso degli arbitri;

  • gli arbitri hanno bisogno – oltrechè di essere indipendenti – di lavorare sodo e, quindi, di lavorare senza dubbi sulla loro retribuzione.

Avv. Michele Costa

L’imposizione fiscale sul patrimonio continua ad aumentare vertiginosamente

Dicembre 26th, 2013 by

A dicembre dell’anno scorso, scrivendo su questo sito, avevo lanciato un grido di dolore per la nuova IMU, applicata sulla prima casa ed aumentata sullo studio professionale, rispetto all’ICI 2011, nonché per la maggiorazione erariale sulle tasse automobilistiche.

A distanza di un anno, in seguito ad uno sterile dibattito politico, più che altro propagandistico delle opposte fazioni, abbiamo dovuto sopportare un nuovo vertiginoso aumento dell’IMU sullo studio professionale.

Quest’anno, soltanto per lo studio professionale, considerando l’esenzione sulla prima casa, ho pagato una somma superiore a quella nel complesso pagata per l’IMU 2012 (!).

Nel caso concreto l’aumento, in un anno, è stato pari al 38 %, senza alcuna possibilità di detrazione dal reddito professionale.

Quest’anno, poi, è intervenuta la TARES che, all’improvviso (fino a due settimane fa non sapevamo a quanto ammantasse il saldo, comprensivo della quota dello Stato), ha aumentato a dismisura le somme pagate l’anno scorso per la TARSU.

Nel caso concreto, per quanto riguarda la casa di abitazione, l’aumento, in un anno, è stato pari al 10 %, mentre per lo studio professionale, l’aumento è stato pari a ben il 37 %.

Il buon senso imporrebbe un’inversione di tendenza, ma è verosimile dubitare (…).

Certo è che, per il invertire il trend in aumento dell’imposizione fiscale, occorrerebbe diminuire i costi dei pubblici poteri (legislativo, amministrativo e giudiziario) e bisognerebbe impiegare razionalmente l’enorme quantità di denaro che affluisce alle casse erariali, regionali e comunali.

Staremo a vedere e riferiremo a Dicembre 2014.

Per il momento non resta altro da fare che gestire i costi, sia dello studio professionale, che personali e, quindi, diminuire ulteriormente i consumi per poter pagare le tasse (fino a quando ciò sarà possibile …), con effetti diametralmente opposti alla tanto auspicata ripresa economica.

Avv. Michele Costa

Estensione ai professionisti delle regole del D.Lgs. 9-10-2002 n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali)

Gennaio 13th, 2013 by

Il professionista, grazie all’art. 1 del  D.Lgs. 9-11-2012 n. 192 (Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, OMISSIS), può contare sull’applicabilità, tra gli altri, degli artt. 3 (Responsabilità del debitore), 4 (Decorrenza degli interessi moratori), 5 (Saggio degli interessi) e 6 (Risarcimento dei costi di recupero) del decreto legislativo del 2002, così come modificati dallo stesso decreto legislativo del 2012 che, all’art. 2 ha aumentato la maggiorazione di legge a 8 punti percentuali.

La nuova normativa si applica anche nei confronti della Pubblica Amministrazione, ma, ex art. 3 del decreto legislativo del 2012, soltanto ai contratti conclusi dopo il 01/01/2013.

Riportiamo il testo dell’art. 1.

<<Art. 1  Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231

1.  Al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, recante attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, sono apportate le seguenti modificazioni:

a)  l’articolo 1 è sostituito dal seguente:

«Art. 1 (Ambito di applicazione). – 1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.

2. Le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per:

a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;

b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.»;

b) l’articolo 2 è sostituito dal seguente:

«Art. 2 (Definizioni). – 1. Ai fini del presente decreto si intende per:

a) “transazioni commerciali”: i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo;

b) “pubblica amministrazione”: le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e ogni altro soggetto, allorquando svolga attività per la quale è tenuto al rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c) “imprenditore”: ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione;

d) “interessi moratori”: interessi legali di mora ovvero interessi ad un tasso concordato tra imprese;

e) “interessi legali di mora”: interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali;

f) “tasso di riferimento”: il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali;

g) “importo dovuto”: la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di pagamento.»;

c)  all’articolo 3, dopo le parole: «interessi moratori» sono inserite le seguenti: «sull’importo dovuto»;

d)  l’articolo 4 è sostituito dal seguente:

«Art. 4 (Decorrenza degli interessi moratori). – 1. Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.

2. Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, ai fini della decorrenza degli interessi moratori si applicano i seguenti termini:

a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;

b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;

c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;

d) trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

3. Nelle transazioni commerciali tra imprese le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell’articolo 7, devono essere pattuiti espressamente. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.

4. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.

5. I termini di cui al comma 2 sono raddoppiati:

a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333;

b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine.

6. Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell’articolo 7. L’accordo deve essere provato per iscritto.

7. Resta ferma la facoltà delle parti di concordare termini di pagamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dal presente decreto sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti.»;

e)  l’articolo 5 è sostituito dal seguente:

«Art. 5 (Saggio degli interessi). – 1. Gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora. Nelle transazioni commerciali tra imprese è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall’articolo 7.

2. Il tasso di riferimento è così determinato:

a) per il primo semestre dell’anno cui si riferisce il ritardo, è quello in vigore il 1° gennaio di quell’anno;

b) per il secondo semestre dell’anno cui si riferisce il ritardo, è quello in vigore il 1° luglio di quell’anno.

3. Il Ministero dell’economia e delle finanze dà notizia del tasso di riferimento, curandone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare.»;

f)  l’articolo 6 è sostituito dal seguente:

«Art. 6 (Risarcimento delle spese di recupero). – 1. Nei casi previsti dall’articolo 3, il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte.

2. Al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a titolo di risarcimento del danno. È fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito.»;

g)  l’articolo 7 è sostituito dal seguente:

«Art. 7 (Nullità). – 1. Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.

2. Il giudice dichiara, anche d’ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero.

3. Si considera gravemente iniqua la clausola che esclude l’applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova contraria.

4. Si presume che sia gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all’articolo 6.

5. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione è nulla la clausola avente ad oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura. La nullità è dichiarata d’ufficio dal giudice.»;

h)  all’articolo 8, comma 1, la lettera a) è sostituita dalla seguente:

«a) di accertare la grave iniquità, ai sensi dell’articolo 7, delle condizioni generali concernenti il termine di pagamento, il saggio degli interessi moratori o il risarcimento per i costi di recupero e di inibirne l’uso;».>>

Riportiamo il testo anche dell’art. 2.

<<Art. 2  Modifiche alla legge 18 giugno 1998, n. 192

1.  All’articolo 3, comma 3, della legge 18 giugno 1998, n. 192, le parole: «di sette punti percentuali» sono sostituite dalle seguenti: «di otto punti percentuali».>>

Ci riserviamo prossimamente di approfondire e riordinare il tema della certificazione dei crediti vantati da imprese e professionisti verso la Pubblica Amministrazione centrale e locale.

Avv. Michele Costa

All’aumento dell’imposizione fiscale deve corrispondere una proporzionale riduzione dei costi dei pubblici poteri, altrimenti l’economia del bel paese non può risorgere, meno che mai in un tempo ragionevole

Dicembre 17th, 2012 by

Quest’anno, prescindendo dall’imposizione sul reddito professionale, ho dovuto pagare sugli immobili un’IMU superiore del 90 % rispetto all’ICI pagata l’anno scorso ed una tassa automobilistica superiore del 34 % rispetto a quella pagata l’anno scorso, che era già maggiorata dell’addizionale erariale all’epoca introdotta.

Dal punto di vista esclusivamente patrimoniale, quindi, ho subito un aumento dell’imposizione fiscale, nell’arco dell’ultimo anno, mediamente pari al 62 % (90 – 34 = 56 : 2 = 28 + 34 = 62).

Da questi semplici dati è sorto lo spunto per la riflessione che segue.

Non è stata nemmeno ipotizzata dal potere legislativo – e neppure da quello esecutivo centrale – una diminuzione di costi dei pubblici poteri in percentuale corrispondente.

Il potere legislativo, poi, ha scientemente vanificato alcune riduzioni programmate da quello esecutivo centrale, come la riduzione del numero dei parlamentari ed il dimezzamento delle Provincie.

Ma a cosa servono i c.d. “peones” in Parlamento ?

Se la politica, che esercita il potere legislativo, non riesce a ridurre di circa 100 unità i senatori e di circa 200 unità i deputati, come si può credere che possa dimezzare i Presidenti, le Giunte ed i Consigli Provinciali ?

E pensare che a tale auspicabile riduzione conseguirebbe il dimezzamento dei Prefetti, dei Questori, dei Direttori delle Agenzie delle Entrate, dei Comandanti dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dei Vigili del Fuoco, etc., etc., etc..

Il potere giudiziario, dal canto suo, ha recentemente ottenuto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle modeste riduzioni degli emolumenti stipendiali introdotte nel 2010.

I costi per le retribuzioni dei parlamentari, degli amministratori (centrali e periferici) e dei giudici, quindi, non diminuiscono, nonostante la crisi oramai asfissiante.

Tutt’altra sorte ha subito, per esempio, la capacità reddituale dei professionisti, con la drastica riduzione dei compensi derivante dalla parametrazione ministeriale.

Tutti pagano le tasse sul patrimonio, ma l’aumento della relativa imposizione non può prescindere dalla redditività.

Se non c’è reddito non è possibile pagare le tasse, nemmeno quelle sul patrimonio.

La maggior parte dei patrimoni, del resto, si è costituita per successione ereditaria (abbondantemente tassata) o con il ricorso al finanziamento bancario (da restituire con gli interessi).

Ai professionisti, quindi, è stato chiesto un sacrificio enorme.

Le dimensioni di tale sacrificio non possono essere mantenute nel medio periodo, ma si attagliano – realisticamente – soltanto al breve periodo.

Se nel breve periodo i costi dei pubblici poteri non diminuiranno in percentuale corrispondente all’imposizione fiscale sul patrimonio dei cittadini, il sacrificio dei professionisti sarà duraturo e finanche irreversibile, con conseguente mancato accesso o abbandono della professione da parte di coloro che non disporranno di un reddito o di un patrimonio per poter esercitare e, anche, di coloro che non si accontenteranno delle mere soddisfazioni professionali completamente avulse da un adeguato ritorno economico.

Ad ogni due professionisti che non potranno più lavorare, infine, si aggiungerà la perdita di un posto di lavoro dipendente, con buona pace della ripresa economica che i pubblici poteri – date le esperienze maturate – potrebbero non essere proprio in grado di incentivare.

Avv. Michele Costa

Sanatoria c.d. di rottamazione dei ruoli – diniego condono – superamento finestra temporale al momento dell’adesione – perfezionamento condono

Settembre 28th, 2012 by

In data 27/11/2010 abbiamo riportato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto n. 184-3-10 del 14 – 28.10.2010, favorevole al contribuente.

Con la sentenza oggi segnalata la Commissione Tributaria Regionale di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado, con la condanna dell’Agenzia delle Entrate al rifusione delle spese processuali, ancorchè liquidate in misura molto contenuta.

In effetti non possono certamente pregiudicare il contribuente (che, per di più, ha seguito le istruzioni del Concessionario in perfetta buona fede) le molteplici stratificazioni normative dell’art. 12 della L. n. 289/2002, che si sono succedute fino al 2005.

Avv.ti Michele Costa e Dina Paoli 

 

Appropriazione indebita del datore di lavoro per omesso versamento delle quote parti dello stipendio del dipendente da destinare ai Fondi di pensione complementare

Giugno 10th, 2012 by

Il processo di primo grado si è concluso con sentenza di assoluzione, emanata in via predibattimentale, perchè il fatto non è previsto come reato.

E’ stata disposta la trasmissione degli atti all’Autorità amministrativa competente.

La sentenza in evidenza si adegua all’orientamento delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 1327 del 27/10/2004 – 19/01/2005, risolvendo un contrasto sorto tra le Sezioni Semplici, hanno statuito che <<2.5. OMISSIS l’omesso versamento della “percentuale trattenuta” dal datore di lavoro sulla retribuzione per effetto degli accordi economici e del C.C.N.L non forma oggetto di una specifica fattispecie penale. OMISSIS>>.

Avv. Michele Costa ed Avv. Amanda Paoletti

 

Violenza sessuale: palpeggiamenti repentini e fugaci

Aprile 5th, 2012 by

Ai fini della sussistenza del reato di violenza sessuale nel caso in cui la condotta sia consistita in un palpeggiamento repentino occorre prestare attenzione alle caratteristiche concrete del fatto alle modalità della condotta ed alle circostanze che l’hanno preceduta e l’hanno seguita.
La sentenza in esame si è incentrata sulla stretta correlazione, dinamica e strutturale, esistente tra la regola del <<oltre il ragionevole dubbio>> e le coesistenti garanzie, proprie del processo penale, rappresentate: a) dalla presunzione di innocenza dell’imputato, regola probatoria e di giudizio collegata alla struttura del processo ed alle metodiche di accertamento del fatto; b) dall’onere della prova a carico dell’accusa; c) dalla regola di giudizio stabilita per la sentenza di assoluzione in caso di “insufficienza”, “contraddittorietà” e “incertezza” della prova d’accusa (art. 530, commi 2 e 3, c.p.p.), secondo il classico canone di garanzia “in dubio pro reo”; d) dall’obbligo di motivazione delle decisioni giudiziarie e della necessaria giustificazione razionale delle stesse.
Malgrado la complessiva attendibilità riconosciuta alla parte offesa il Collegio ha sottoposto ad un attento vaglio critico quanto dalla stessa affermato prendendo in considerazione sia lo stato d’animo emerso in sede di istruttoria che l’assenza di riscontri estrinseci.

Avv. Amanda Paoletti

 

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